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“Il museo (è) possibile. Storie di collezionismi, recuperi e restauri” al Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo

Dal 30 novembre 2021 al 30 gennaio 2022 il Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo ospiterà la mostra “Il museo (è) possibile. Storie di collezionismi, recuperi e restauri”.

Da circa un anno Castel Sant’Angelo è sottoposto a lavori di manutenzione straordinaria necessari a ridare decoro e lustro a uno dei più significativi monumenti di Roma, nell’ottica di rendere più concreti, visibili e godibili i suoi variegati e complessi ambienti, la sua preziosa decorazione cinquecentesca e le collezioni di dipinti, arredi e armi storiche, fino ad ora in gran parte nei depositi.
Sono state recentemente interessate da un nuovo progetto illuminotecnico la Sala Paolina e la cosiddetta Biblioteca, già fruibili con la nuova suggestiva illuminazione.
Lo saranno a breve anche la cosiddetta “Armeria inferiore”, dove sarà raccontata in maniera permanente la storia iconografica del Castello, e le altre sale “farnesiane” accanto alla Paolina (Perseo e Amore e Psiche) e accanto alla Biblioteca (Adrianeo e Festoni, Cagliostra), dove sono in corso lavori di ristrutturazione, resi necessari per migliorare l’offerta museale.
In attesa di riallestire le opere delle collezioni del Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo (istituito nel 1925) nelle sale ad esse destinate originariamente, si è deciso quindi di realizzare un allestimento temporaneo, che le proponga al pubblico secondo una nuova ottica espositiva e che ne faccia comprendere la straordinaria varietà.

La mostra, curata da Mariastella Margozzi, Laura Salerno e Michele Occhioni, si propone di valorizzare e conferire nuova luce a opere poco conosciute, nonostante il loro indiscutibile pregio, celate all’attenzione che meritano e sottratte alla visione perché in gran parte conservate nei depositi del Castello.
Molti dei pezzi esposti non sono collegati alla storia di Castel Sant’Angelo che all’epoca dell’istituzione del Museo si era trovato per lo più privo di mobilio ornamentale e di quadreria, considerate anche le diverse funzioni che vi si svolsero in precedenza, come quella di carcere e caserma. La collezione di dipinti e arredi che oggi ammiriamo è frutto della sintesi di due distinte donazioni, quella del collezionista e mercante d’arte romano Mario Menotti del 1916 e quella della famiglia fiorentina Contini Bonacossi del 1928, favorite dalla volontà del generale Mariano Borgatti, allora direttore del Castello, al quale va ascritto il merito (oltre quello di aver pianificato, programmato e realizzato una significativa campagna di restauro estesa a gran parte del monumento) di averlo voluto trasformare in contenitore di contenuti storici e artistici.
Le svariate provenienze e la corposa miscellanea di materiale collezionato, che rispecchia il gusto dei donatori, ma anche del mercato dell’arte del periodo, si riflette nella successione cronologica delle opere in mostra. In tal senso evidente, ad esempio, è la sovrabbondanza di opere della scuola veneta, ambito geografico al quale si riferiva particolarmente il gusto di Mario Menotti. Alessandro Contini Bonacossi invece, mercante d’arte oltre che collezionista, avvalendosi della consulenza dell’allora giovane storico dell’arte Roberto Longhi, aveva acquistato insieme alla moglie Vittoria molteplici opere sul territorio italiano, alcune delle quali furono oggetto di donazione al Museo di Castel Sant’Angelo per contrastare la fama di venditore di opere d’arte italiane all’estero e acquisendo quella di mecenate illuminato.
Per questa donazione i coniugi Contini Bonacossi ottennero il titolo nobiliare di conti. Un’altra donazione venne disposta da Alessandro Contini Bonacossi nel 1939 a favore del Museo degli Uffizi di Firenze. I numerosi manufatti giunti a Castel Sant’Angelo vennero allestiti, sotto la direzione dei donatori, in sette sale disadorne dell’appartamento pontificio, con l’obiettivo di presentare una ricostruzione ambientale d’epoca, quasi la scenografia di un film in costume ambientato nel tardo Rinascimento, che comunque assecondava anche i criteri degli allestimenti museali allora in voga. L’allestimento rispetta, per quanto possibile, il criterio cronologico, coniugandolo in alcuni casi al concetto di “maggiore visibilità”, in accordo al quale si tende a valorizzare capolavori ingiustamente dimenticati o ignorati. Si potranno rivedere alcuni manufatti legati fin dalla loro origine a Castel Sant’Angelo, come ad esempio il monumentale busto del Salvatore, che ha prestato il nome all’omonimo cortile in cui a lungo è stato esposto, che da molti anni non era visibile al pubblico, o la bellissima scultura lignea della Madonna con bambino di scuola umbro-laziale della fine del XIII secolo.
Tra le opere esposte figurano nomi assai noti, quali Jacopo della Quercia, Ambrogio Zavattari e la sua bottega, Carlo Crivelli, Dosso Dossi, Sebastiano del Piombo, Andrea Pozzo, Pietro Bracci, oltre alla bottega di Pieter Paul Rubens e a copie da famosi capolavori quali Il Festino degli Dei di Giovanni Bellini o Il Riposo nella Fuga in Egitto di Federico Barocci. Sarà esposto anche il San Girolamo nella selva di Lorenzo Lotto, del 1509, datazione rispondente al periodo romano dell’artista, come ci ricordano del resto la posa del santo, citazione del Diogene adagiato sulle scale della Scuola di Atene di Raffaello nelle Stanze Vaticane, e l’edificio visibile nel paesaggio sulla destra, che si può identificare con Castel Sant’Angelo.
Adeguato rilievo è dato anche al polittico quattrocentesco dei fratelli Zavattari, proveniente incompleto dalla collezione Contini Bonacossi e ricomposto nel 2000 degli altri due pannelli mancanti, acquistati dallo Stato sul mercato antiquariale. Ma ci sarà anche l’Apparizione dell’Arcangelo Michele sul mausoleo di Adriano dell’ambito di Ventura Salimbeni, un soggetto strettamente legato alla storia della Mole: secondo la tradizione, infatti, nell’anno 590, di fronte alla processione voluta da papa Gregorio Magno per scongiurare la pestilenza che affliggeva Roma, l’arcangelo Michele apparve sopra il mausoleo rinfoderando la spada insanguinata, a simboleggiare la fine del morbo. Ceramiche istoriate e mobilio, tra cui due preziosi cassoni nuziali di manifattura toscana, completano l’esposizione e restituiscono al pubblico la ricchezza e l’eterogeneità dei materiali che il Museo di Castel Sant’Angelo conserva.