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“Bartolomeo Pinelli. Visioni Dantesche” al Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo

Dal 12 aprile all’8 maggio 2022 il Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo ospiterà, nelle sale Clemente VIII e Clemente VII, la mostra temporanea “Bartolomeo Pinelli. Visioni Dantesche”.

 

Il Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo conserva la serie quasi completa di stampe incise da Bartolomeo Pinelli tra il 1824 e il 1826 per illustrare la Divina Commedia di Dante, edite in Roma da Giovanni Scudellari.
La tiratura fu eseguita per le Mostre retrospettive organizzate a Castello nel 1911 in occasione dell’Esposizione Universale, utilizzando le matrici originali tutt’ora di proprietà dell’Istituto Centrale per la Grafica. Le acqueforti esposte colgono gli episodi più significativi dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, accompagnate dalle terzine dantesche, rivelando “franchezza di disegno”, “felicità d’invenzione” e “verità di mosse e affetti”, come riporta una positiva recensione dell’epoca. Dalla serie traspare la capacità dell’artista di affrontare temi colti e letterari, superando i consueti soggetti popolareschi e vernacolari che lo avevano reso famoso. Gli entusiasti ammiratori dell’opera ne lodavano la “semplicità sublime”, intravedendo nel Pinelli la capacità di sentire il bello con il cuore “prima anche di averlo studiato con la mente”.
L’opera di Pinelli si inserisce in un ricco filone di riscoperta del poema di Dante che percorre l’Europa romantica tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800, quando una nuova sensibilità riconosce nella Commedia l’espressione autentica di un potente sentimento individuale, il “sublime”. Pinelli dunque si pone sulla scia di quegli artisti, come William Blake, Johann Heinrich Füssli, John Flaxman e Felice Giani, che traducono le invenzioni dantesche in grandiose immagini di forte impatto visivo.
L’opera di Pinelli incontrò da subito una notevole fortuna critica, ma non ebbe un’adeguata diffusione. In ambito romano, la serie completa è posseduta solamente dalla Biblioteca capitolina, dall’Accademia di San Luca, dall’Istituto Centrale per la Grafica e dalla Biblioteca della Fondazione Besso.
La serie di Castel Sant’Angelo conta 143 stampe su 145. Le due che la completano, non pervenute a noi per ignote ragioni, sono state ristampate e messe generosamente a disposizione della mostra dall’Istituto Centrale per la Grafica.
Le incisioni dantesche sono suddivise in 66 per l’Inferno, 43 per il Purgatorio, 35 per il Paradiso, inclusi i frontespizi e i cosiddetti “riposi” dell’autore a chiusura delle serie, nei quali spiccano gli autoritratti dell’incisore, che amava raffigurarsi con i suoi due cani mastini, fedeli compagni di un’esistenza piuttosto scapestrata.
Altri autoritratti del Pinelli sono riconoscibili in diverse tavole illustrative delle tre Cantiche.

Bartolomeo Pinelli nacque a Roma il 20 novembre 1781. Ebbe il primo apprendistato presso il padre Giovanni Battista, modesto scultore, per poi frequentare l’Accademia Clementina di Bologna, sperimentare l’uso della camera ottica, cimentandosi nel vedutismo, e in seguito, tornato a Roma, perfezionare i suoi studi all’Accademia di San Luca.
Dal 1806, vista la crescente domanda sul mercato di tematiche pittoresche, eseguì numerosi acquerelli con scene popolari, per poi pubblicare nel 1809 una Raccolta di Cinquanta costumi pittoreschi, con la quale si cimentò per la prima volta con l’incisione, fissando l’iconografia idealizzata del popolo romano attraverso un linguaggio lineare, semplificato, ispirato ai modelli classici e animato da un forte senso della linea.
Pinelli visse in mezzo al popolo, fu assiduo frequentatore di osterie e taverne e riuscì a cogliere le espressioni caratteristiche, i tipi, i costumi della vita di Roma, ritraendo scene di brigantaggio, di carnevale, di feste, di baruffe, in parallelo con quanto il Belli cantava in poesia. Si impegnò anche nell’interpretazione della letteratura e la storia antiche, pubblicando nel 1811 l’Eneide e, nel 1819 l’Istoria Romana, alle quali fecero seguito altre raccolte di temi storici e letterari. Nonostante l’intensa attività e il notevole successo, il Pinelli morì oppresso dai debiti il 1 aprile 1835, probabilmente consumato dall’abuso di alcol, e fu sepolto nella chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio. Alla sua scomparsa fece seguito un mordace sonetto di Giuseppe Gioacchino Belli, intitolato La morte der zor Meo. Una lapide sormontata da un busto bronzeo, opera di Gabriele Vangelli, ne eterna la memoria in Viale Trastevere, nei pressi del luogo dove sorgeva la sua casa natale, oggi non più esistente. Un altro suo ritratto, questa volta in marmo, figura nella serie di busti di personaggi illustri che adornano i viali del parco al Pincio.

 

Notizia e foto tratte da Direzione Musei Statali della Città di Roma